Terre e rocce da scavo: chiarimenti sui materiali di riporto
Pervenuti dal Ministero dell’Ambiente chiarimenti sulla natura dei “riporti” e sulle modalità di gestione delle terre e rocce da scavo che li contengono. Il test di cessione è sempre richiesto.
A seguito dell’entrata in vigore del nuovo regolamento sul riutilizzo delle terre e rocce da scavo (DPR 120/2017), il Ministero dell’Ambiente ha diramato una circolare di chiarimento in merito alla corretta definizione di materiali di riporto e alla loro gestione.
Sono definite “matrici materiali di riporto” le matrici costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, rilevati e reinterri (DL 2/2012, convertito con mod. dalla L. 28/2012).
Chiarita la natura dei riporti, vengono passate al vaglio le novità introdotte dal DPR 120/2017, attraverso l’esemplificazione di alcune ipotesi di gestione delle terre e rocce da scavo che contengono i sopra citati materiali di riporto. In estrema sintesi:
Modalità di riutilizzo | Requisiti delle terre contenenti riporti |
RIUTILIZZO IN SITU (“non rifiuto”) |
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RIUTILIZZO AL DI FUORI DEL SITO DI PRODUZIONE (“sottoprodotto”) |
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Nel caso in cui i materiali di riporto siano conformi alle concentrazioni soglia di contaminazione/valori di fondo, e quindi risultino non contaminati, è sempre consentito il riutilizzo in situ.
Le terre e rocce da scavo contenenti materiali di riporto contaminati e non conformi al test di cessione sono fonti di contaminazione. Il quanto tali, le matrici fonti di contaminazione devono essere rimosse o devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti oppure devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente mediante le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute.